Livorno, 23 luglio 2023 – Una giornata particolare vissuta da una donna particolare. La giornata, destinata a entrare nella storia, è quella del 25 luglio 1943.
La donna, a dir poco sui generis, è Edda Ciano Mussolini, prediletta primogenita del Duce gli Italiani, moglie dell'ex ministro degli Esteri e attuale ambasciatore in Vaticano conte Galeazzo Ciano di Cortellazzo, il delfino di Benito Mussolini destituito ai primi di febbraio di quello stesso anno con un rimpasto della compagine ministeriale. Con un “cambio della guardia”, per usare il vocabolario mussoliniano.
Nella notte tra sabato 24 e domenica 25 luglio 1943, giusto ottant'anni fa, Mussolini non sa, non può sapere, che stavolta il “cambio della guardia”, definitivo, riguarderà, proprio la sua persona, il suo duplice ruolo di capo del consiglio e di guida del fascismo.
Il 25 luglio segna la fine della rivoluzione mancata, frantuma il “compromesso storico” tra fascismo e monarchia sancito il 29 ottobre 1922 con l'incarico affidato a Benito Mussolini da Vittorio Emanuele III, che non aveva ritenuto necessario firmare lo stato di assedio per fermare la marcia su Roma delle camice nere.
Ma dove si trovava l'eccentrica Edda Ciano Mussolini che con anticonformistica spigliatezza indossava i pantaloni lunghi e si mostrava quasi desnuda in bikini? Si trovava a Livorno, nel feudo della famiglia Ciano. Era in vacanza nella villa di Antignano tanto cara al suocero Costanzo, morto nell'estate del '39, nonché al marito libertino Galeazzo che qui amava trascorrere i rari momenti di relax.
Una giornata particolare, quella di Edda, riproposta da Maurizio Sessa nel suo saggio storico “Sangue di famiglia. Edda Ciano Mussolini. Amore, odio e perdono” pubblicato da Edizioni Medicea.
Tra le varie fonti apocrife Sessa cita in particolare una curiosa e poco nota pubblicazione apparsa il 5 maggio 1945 autorizzata dall'Allied Military Government (AMG). Sono trascorsi appena sei giorni dalla cattura, fucilazione e “esposizione” alla pompa di benzina di Piazzale Loreto di Benito Mussolini. Si tratta di un opuscolo di piccolo formato, ventotto pagine, a firma di Arcese Sirghebo, presumibilmente uno pseudonimo: Edda Ciano e il 25 luglio, stampato da Editrice Moderna di Livorno, la città che era stata roccaforte della famiglia Ciano.
Sul frontespizio una citazione attribuita a Edda. Una frase che è un programma: «Mio padre ha piegato alla sua volontà la volontà di un popolo, non la mia».
L'intento dell'opuscolo è espresso a chiare lettere: Edda nella villa di Antignano aveva capeggiato un gruppo di congiurati, detto appunto il “gruppo Edda”, costituitosi per rovesciare il duce.
Nella calda estate del '43 il successore designato di Mussolini era Galeazzo. Edda per mero opportunismo si era riavvicinata al marito dopo anni e anni di freddezza reciproca. Affondando il coltello nella piaga, dopo il 29 aprile 1945, Mussolini doveva essere sezionato e studiato “a pezzo a pezzo”: sarà difficile demolire il dio di cartapesta per quel numero ancora di adoratori irriducibili del buffone di Piazza Venezia.
Per arrivare a ciò occorre mettere a nudo con la crudezza necessaria il nietzschiano super-uomo, stenderlo sul tavolo anatomico, spezzettarlo, a pezzo a pezzo, farlo esaminare e studiare a chi crede tuttora alle portentose capacità del “divino” e alla sua infallibilità.
In realtà il bersaglio principale era Edda. Sirghebo, o chi per lui, dava per certo che la contessa Edda Ciano aveva contribuito a far cadere il padre nell'ultima seduta del Gran Consiglio del fascismo. Edda era stato il regista occulto che aveva mosso i fili del complotto.
Questo il compito supremo che Sirghebo assegnava all'algida, strana, amorale figlia del dittatore.
Le stranezze con le quali l'autentica figlia di «mistica fascista» ogni giorno faceva parlare di sé sono note a tutti gli italiani.
Edda, come il padre, non ha senso morale: spregia e condanna tutto l'essere umano: non ha vero, sincero affetto per nessuno; per circa due anni tiene lontano il marito, col quale evita di avere qualsiasi contatto.
Il lettore, prosegue Sessa nel suo ampio saggio, non doveva cadere in inganno. L'unico vero ideale di Edda era l'alcole. Era risaputo che «alle rare amiche che vengono a farle visita alla villa di Antignano fa noti i suoi progetti avvenire: “Finita la guerra ho intenzione di farmi promotrice della costruzione di grandi alberghi con tutte le più impensate comodità per i clienti. Bar in ogni piano e bar privato per ogni appartamento».
Era lei che non si vergognava ad ammettere: “Io non posso prendere sonno se non sono in stato di ubriachezza”».
Numerose erano le “virtù” muliebri che il panflettista attribuiva a Edda: indifferenza per i figli anche quando erano ammalati; sconcezza di linguaggio nei confronti della servitù; insensibilità e freddezza per l'altrui sofferenza. E, soprattutto, totale incapacità al pianto. Non volendo risparmiare nemmeno nonno Alessandro e il primogenito Fabrizio detto Ciccino, si additavano i quattro capisaldi attorno ai quali ruotava la dissoluta esistenza della dostoevskiana giocatrice incallita contessa Edda Ciano:
Amori illegali, alcole, fumo e gioco. Ogni notte alla villa Ciano si giocava fino alle prime ore del mattino. Gli ospiti erano condannati, se così si può dire, a stare alzati ed a rimanere al tavolo di gioco tutta la notte, cioè fino a quando Edda non li licenziava.
Quando ai Bagni Pancaldi di Livorno funzionava la bisca illegale, chiamata «Cavallino», molte volte al tavolo di gioco fu vista seduta, con a fianco un ufficiale dell'Esercito, la figlia del duce, giocare, fumare e bere con tale accanimento da far ricordare il nonno, l'alcolizzato fabbro di Dovia.
Una sera per strana combinazione, alla villa non c'erano ospiti. Edda, che non poteva coricarsi se non alla solita ora, per sfogare il suo vizio del gioco, non trovò di meglio che sfidare il figlio Fabrizio di età poco superiore ai dieci anni. Il bambino, al mattino dopo, ingenuamente, raccontava all'agente di servizio: Sai Antonio, stanotte ho giocato con Edda fino oltre le due. Le ho vinto seicento lire.
Venuta a conoscenza della caduta del padre, prosegue Sirghebo, nella villa di Antignano – con il suo via vai continuo di amanti, il cui sesso cambiava a seconda del proprietario che vi dimorava al momento – Edda nella notte del 25 luglio '43 se la prese a ridere e offrì da bere ai poliziotti della scorta e alla servitù. Non lo aveva mai fatto prima.
La tragedia si era così consumata. Non era stato Giove a divorare i figli, ma la figlia di Mussolini a sbranare il duce degli italiani.
Così è finito – spinto nella sua caduta dalla figlia Edda e dai suoi intimi collaboratori – il grande parodista di Cesare, di Carlo Magno, di Napoleone, l'uomo divinizzato da un popolo e che ha raccolto, insieme a Hitler, tutte le maledizioni dell'umanità.
Il più celebre megalomane, il turlupinatore più maestro, colui che ha truffato allori a tutto il mondo, si è imbrogliato nel fare i suoi ultimi esercizi di prestigio, e agli spettatori mormoranti, il discepolo di Nietzsche, il superuomo, si è mostrato nudo, in tutta la sua deformità morale, non più abile uomo di Stato, ma inetto timoniere che ha portato la nave a frangersi contro i più visibili scogli.
Questi solo alcuni “assaggi” di un opuscolo che costituisce un esempio lampante di guerra psicologica. Abbattimento fisico del nemico oppure, in subordine, sua distruzione morale. Edda, rinchiusa in una clinica in Svizzera, come avrebbe potuto contrattaccare? Con l'avallo dei Nipoti dello Zio Sam, si continuava ad accreditare l'immagine di Edda quale “duce mancato”.
Edda era invece solo una donna sola con tre figli, distrutta dalle fucilazioni prima del marito e poi del padre.
Il 25 luglio del ‘43 di Edda è solo uno dei capitoli della complessa vicenda di Edda Ciano Mussolini che Maurizio Sessa ripercorre nel suo volume “Sangue di famiglia. Edda Ciano Mussolini. Amore, odio e perdono” nato dal rinvenimento di due lettere inedite di Edda riguardanti carte personali del padre e del marito. Documenti che illuminano la fosca tragedia personale e storica della “donna che morì due volte”.